Chi fa da sé

L’omertà o, per dirla in modo più carino, la consuetudine a tacere sui fatti che accadevano in ambito familiare, era praticata con grande impegno dal ramo nordico della famiglia. Mentre i figli e nipoti di nonno Opri erano persone estroverse, chiassose e grandi chiacchieroni, la parte settentrionale della stirpe tendeva, in barba a tutti i cliché, ad avvolgere nel silenzio tombale ogni accadimento nemmeno si trattasse di un affare di stato.
Ma non dirlo a tuo zio, tua zia, ai cugini era la frase che puntualmente accompagnava i racconti, che si trattasse di uno scippo subito, di una malattia o del cugino scemo che era stato denunciato perché molestava telefonicamente le vecchiette del paese con il campanile. Ovviamente c’era sempre almeno uno dei parenti che non sapeva resistere alla tentazione di spifferare l’ultimissima nuova, eppure ognuno viveva nella granitica certezza di essere l’unico detentore della verità vera sulla storia familiare.

I primi di settembre Ennio tornò finalmente dalle vacanze al mare. Quando Anna gli raccontò della violenza subita, lui ne fu sconvolto e tentò l’impossibile per farle tornare il sorriso. I ragazzi ripresero a frequentarsi, ma qualcosa si era inesorabilmente rotto: lei fuggiva l’intimità e se, anche solo per caso, il ragazzo le sfiorava il collo, veniva presa dal panico sentendosi soffocare. Cominciò ad evitarlo e come un gatto ferito passava le giornate vagabondando senza meta per le strade di Roma.
Pochi giorni prima della riapertura delle scuole però prese la decisione – del tutto incomprensibile, secondo Ennio – di tornare, per un’ultima volta, a cercare il suo amico con i mustacchi nel bar vicino alla vecchia scuola.

Mentre interrogava per l’ennesima volta l’alquanto reticente barista per scoprire dove accidenti mai si trovasse Enrico, Anna sentì un voce melliflua alle proprie spalle. Proveniva da un viso coperto a metà da un paio di Ray-Ban, che apparteneva a uno dei tre fratelli noti per la fama del loro cognome. Si trattava del più bello dei tre. Qualche volta, mentre sedeva al bancone insieme a Enrico, Anna ci aveva scambiato poche parole, ma considerava quel trentacinquenne uno sciocco vanesio e in tempi normali non si sarebbe fermata a chiacchierare con lui. Quelli però non erano tempi normali per lei – ammesso che un valore numerico possa estendersi ai tempi della vita – e così gli diede corda.
Per una mezz’ora abbondante il bello con i Ray-Ban si esibì in una serie di ruote da pavone, poi la invitò a bere una cosa insieme a casa sua, dove aveva appuntamento con un amico. Che sicuramente si stava spazientendo per il suo ritardo, visto che dovevano discutere una cosa importante, aggiunse. Senza interrogarsi sui propri perché, Anna accettò e dopo poco si ritrovò in compagnia dei due uomini nel salone di un appartamento situato nei quartieri nobili della città. Mentre il bello e l’amico conversavano delle solite cose loro bevendo Martini, con grandi sorrisi la invitavano a fare altrettanto. Lei solitamente beveva aranciata, ma decise di fare un’eccezione (un’altra) alla regola. Al Martini i due fecero seguire uno spinello e Anna, che stava percorrendo chissà quale sentiero confuso e che non aveva mai fumato, non si tirò indietro e accettò di fare qualche tiro, anche se, quando si recò in bagno, scoprì che una terribile nausea le stava impedendo di mettere a fuoco il proprio volto nello specchio e anche l’esatta posizione del water. Quando ne uscì, trovò il bello con i Ray-Ban che stava lasciando la casa per tornare subito, come le assicurò.
Anna si accasciò sul divano. Avrebbe voluto dormire, ma la testa che girava e l’amico del bello non le concessero la sperata tregua. Già dopo un paio di frasi vuote, le mani dell’uomo le sfiorarono il viso spostandosi poi velocemente lungo il collo fino a tastare il suo seno come i tentacoli di una piovra che avviluppa la preda. Quando Anna, anche questa volta, espresse il proprio rifiuto, lui la rovesciò sul letto e si mise cavalcioni sopra di lei sollevandole la gonna e strofinando il proprio corpo su quello della ragazza. Con uno sforzo sovrumano lei riuscì a liberarsi e, se anche questa reazione scatenò l’ira di lui che la prese a ginocchiate sui fianchi e la colpì con un pugno in pieno viso, corse verso la porta e fuggì dall’appartamento.
Senza sapere come, Anna raggiunse la stazione del tram dove, tra la nebbia dei pensieri e dello stordimento da alcol e fumo, scoprì che proprio quel giorno era stato indetto uno sciopero generale e che non ci sarebbe stato alcun mezzo pubblico a portarla a casa. Così si incamminò a piedi. Cinquanta minuti dopo si ritrovò nella propria stanz. Era coperta di lividi, aveva un occhio nero, i piedi doloranti, ma provava la folle euforia di chi ha vinto.
Per quanto la sua automedicazione possa definirsi scientificamente discutibile, quel giorno Anna si affrancò, a modo suo, dai sensi di colpa per non aver lottato abbastanza contro il cugino del biondo. Sugli effetti che tutto ciò ebbe invece sulla sua sessualità non è dato sapere.

2 risposte a “Chi fa da sé”

  1. Blog sui generis: pagina rigorosamente bianca e scrittura a piene mani: chi sia realmente Anna non è dato sapere ma questo non è un difetto soprattutto nel virtuale.. E’ come prendere in mano un libro sconosciuto di uno sconosciuto e provare l’avventura di attraversarlo. Ti sto leggendo con attenzione, spero che basti almeno per ora. Grazie per la tua attenzione anche da me.

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    1. Grazie per il tuo commento. 🙂

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